Fotografa naturalista
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Dopo anni di silenziose attese tra le montagne, trascorsi a osservare e fotografare il Re delle Alpi, ho sentito il bisogno di condividere il privilegio di questi incontri con chi non ha la possibilità o la fortuna di ammirare da vicino questo splendido animale.
Nasce così I guardiani delle cime più alte - Le stagioni degli stambecchi, un libro che racconta la vita di questi straordinari abitanti delle vette attraverso immagini e parole.
Un viaggio visivo tra le montagne più alte, dove gli stambecchi regnano sovrani.
176 pagine di fotografie mozzafiato e testi evocativi che narrano il legame profondo tra gli animali e l'ambiente montano, la forza silenziosa della natura e la resilienza di chi la abita.
Il volume include inoltre estratti video accessibili tramite codici QR, pochi attimi che uniscono fotografia, narrazione e movimento.
Lingua: Italiano / Tedesco
CHF 58.00
Spese di spedizione escluse
Per ulteriori informazioni
agilità, potenza, resistenza ed estinzione
È conosciuto soprattutto per essere forte e agile nello scalare le pareti più ripide.
Rapido a sparire tra le creste più inaccessibili. Resistente nel percorrere lunghe distanze. Robusto nel sopportare rigide temperature.
Malgrado queste caratteristiche straordinarie è una delle speci maggiormente a rischio per la sua estrema fragilità.
La tormenta di neve
sta lentamente lasciando il posto a un timido sole e a un cielo ancora velato.
La natura assopita esce lentamente dai suoi rifugi,
mostrandosi in tutta la sua bellezza.
Ogni ramo, ogni roccia,
ogni filo d’erba sembra trattenere il respiro dopo il lungo silenzio.
Dagli anfratti più bassi risale un vapore lieve,
come un sospiro della terra che torna a vivere.
In lontananza il vento porta l’eco di un torrente che riprende a scorrere.
Dopo poco più di un’ora di cammino,
il bosco di abeti, pini cembri e larici ha iniziato lentamente a diradarsi.
Qua e là resiste ancora qualche albero,
custode silenzioso di questo meraviglioso Re.
Sdraiato tra i fili d’erba e aghi di larice ghiacciati,
rumina sereno immerso nel respiro quieto della montagna
Le fronde spoglie dei larici,
ondulando e danzando al ritmo lieve del vento,
si aprono come sipari mostrando un Re dal bianco mantello.
Guardo all’insù.
Il cielo mi abbraccia con la calma della notte
e per un istante tutto tace.
Poi, un fruscio.
Alcuni rami si spezzano nel buio.
Appare lui.
Il Re si lascia illuminare dalla luna piena delle fragole
Questo Re si prepara ad affrontare una notte piuttosto fredda.
Le previsioni annunciano temperature attorno ai ventuno gradi sotto zero. Si sistema in un punto riparato, dove può ancora brucare qualche ciuffo d’erba, ma soprattutto dove l’acqua, resistendo al gelo, continua a trascorrere sulle rocce, lasciando i sali minerali di cui ha bisogno.
Sembra abbandonarsi al tempo che scorre, ma ogni suo muscolo resta in tensione, pronto allo scatto.
In questo canalone, insieme all’acqua, scendono costantemente piccole valanghe.
Che sia via terra o via cielo,
l’avvicinamento ai tremila unisce l’uomo alla natura in modo profondo,
anche quando il ghiacciaio si ritira e lascia spazio alle nude rocce.
In questi ambienti severi,
la vita si manifesta in modi inaspettati,
sorprendendo con la sua resilienza e bellezza.
Il calore del sole se n’è andato con il vento,
lasciando il posto al silenzio
e alla mezza luna che lenta prosegue il suo cammino attorno alla terra.
Un larice ancora spoglio fa da cornice al cielo, e lì, in controluce, quattro stambecchi.
Uno dopo l’altro, passo dopo passo, i Re si preparano alla notte,
raggiungendo il luogo dove abbandonarsi tra le braccia di Morfeo.
Loro si spostano e io mi adeguo.
Voglio catturare quell’attimo. Aspetterò… aspetterò quel momento preciso.
Spero che qualcuno passi sotto quel larice solitario, spero che la luna si avvicini, spero, spero, spero…
Ai piedi di una parete a strapiombo,
tra rami spogli e minuscoli fiocchi di neve che danzano nel silenzio,
un’ombra immobile mi osserva.
Si volta appena, mi scruta.
Poi, con la calma di chi conosce il proprio regno,
si gira, si mette in posa per un ritratto che sa già di essere eterno.
Il sole d’autunno sta per tramontare.
Gli ultimi raggi si posano sulle cime più alte.
Abbasso la macchina fotografica, ormai superflua.
Mi guardo attorno e cerco di imprimere tutto nella memoria:
l’emozioni,
le sensazioni,
il soffio del vento che accarezza ogni cosa.
Tutto quello che nessuna immagine potrà mai racchiudere, immortalare.
Osservo ogni creatura, dal più anziano al più giovane.
Soprattutto i piccoli,
quelli che per la prima volta dovranno affrontare una prova immensa e sconosciuta: sopravvivere al loro primo inverno,
immersi nelle tormente e sepolti sotto metri di neve.
I primi fili d’erba si stanno facendo coraggio tra le rocce umide.
Un piccolo gruppo di stambecchi sbuca silenzioso da un versante, dove neve e ghiaccio sono ancora abbondantemente presenti.
Sono sopravvissuti, ma l’inverno li ha svuotati.
Costole marcate, movimenti lenti e la fame appesa agli occhi.
Ferro, calcio, sodio sono un tesoro tra le rocce, una promessa di rinascita. Il corpo dopo lunghi mesi reclama sali minerali, minuscoli cristalli più preziosi dell’erba nuova.
Gnammm… gnannnn…! Un brindisi alla vita, alla sopravvivenza!
Sopra i dirupi, dove l’aria è più leggera e il silenzio sa di cielo, questa mamma stambecco apre la danza. Dopo il pisolino, è tempo di muoversi e di fare rifornimento di energie. Perché allungare il percorso, quando si può usare la via più breve? Un semplice salto nel vuoto.
I cuccioli a poche ore di vita hanno già l’istinto della montagna nelle ossa.
Appena nati, i capretti sembrano già sapere tutto. Con zampette leggere e cuori coraggiosi, seguono la mamma lasciando a bocca aperta anche gli alpinisti più esperti.
Lascio vergare lo sguardo sulle rocce che mi sorreggono, sotto di me
un unico rumore.
Il rumore di qualcosa che lentamente sta scomparendo, morendo.
Gocce che lente, costanti, accompagnano il silenzio più totale.
Un sasso poco lontano scivola, interrompe per pochi secondi i miei pensieri
per poi dar di nuovo voce alle interminabili lacrime di questo ghiacciaio, che riprende ininterrottamente il suo pianto.
Accompagnato dalle gocce di pioggia, questo stambecco con passo sicuro e regale scala le rocce. Ogni passo è un rito antico, una danza di chi è nato sulle vette.
La roccia racconta il coraggio della vita selvaggia. Porta sulle spalle il silenzio e la dignità di chi conosce la montagna da sempre.
A un passo dai tremila, mimetizzarsi diventa istinto.
Fondersi tra le rocce, confondersi con il paesaggio, è questione di sopravvivenza.
Questo piccolo Re, nato da poche settimane, si muove leggero sui sassi.
Le mamme attorno, vegliano su di lui come sentinelle silenziose.
Non fugge. Non conosce ancora il pericolo.
L’aquila reale potrebbe comparire in qualsiasi momento, disegnando ombre improvvise sul pendio scatenando il panico.
I raggi del sole sbirciano tra le nuvole illuminando la scena a tempo di musica.
Resto nascosta dietro un sasso e assisto incantata.
I due Re danno spettacolo per quasi quaranta minuti.
Si affrontano, si misurano, si osservano.
Poi sfiniti si concedono un lungo pisolino, uno accanto all’altro,
nella quiete che solo la montagna sa regalare.
Una giornata intera a osservarlo e a essere osservata.
Poi arriva il momento di scendere.
Lui rimane lassù a crogiolarsi ancora un po’ nel tepore del sole.
Io invece,
per non disturbarlo, scelgo di fare un giro un po’ più lungo.
All’improvviso me lo trovo davanti: mi osserva dall’alto immobile.
Con la sua innata flemma, inizia ad avvicinarsi.
Occhi negli occhi.
Mi lancia un grugnito, io gli rispondo con un bacio.
Per quanlche minuto comunichiao così, come due vecchi amici.
Manca solo un abbraccio e un: ci vediamo domani.
Dopo il lungo inverno,
qua e là iniziano a spuntare i primi fiori.
I Re sentono nell’aria frizzante
atmosfera di sfide,
di corse lungo i pendii, di giravolte,
e di mettersi in posa.
Avranno diversi mesi, fino alla fine di novembre,
quando inizierà la stagione degli amori,
di dimostrare chi è il più forte.
©AlCaPhoto
Sono nata molte primavere fa a Lugano.
La mia professione di Visual Designer, formazione conseguita a Berna, mi ha portato a vivere lontana dal Ticino.
Berna, Losanna ed Engadina. Il mio lavoro mi ha dato l’opportunità di vivere a stretto contatto con la fotografia, un’arte che mi accompagna fin dall’età di quindici anni.
Dalle camere oscure, alle più moderne tecniche digitali, senza mai perdere il fascino per l’essenza dell’immagine.
Un giorno, la montagna mi regalò un incontro che avrebbe cambiato la mia vita.
Messaggeri di un destino speciale, 28 stambecchi riposavano tranquilli su un sentiero d’alta quota.
Ricordando quel momento come se fosse ieri, dico sempre che erano 28 Cupido travestiti da stambecco.
Mi rubarono il cuore e mi fecero innamorare perdutamente della montagna. Il suo silenzio e la sua grandezza, aveva orchestrato quell’incontro come una rivelazione.
Quegli sguardi tranquilli, i movimenti solenni, la loro presenza così naturale e pacifica, mi avevano catturata.
Non era solo un incontro con gli stambecchi, era un incontro con qualcosa di più profondo, un richiamo che da quel giorno non ho mai smesso di seguire.
Durante le mie lunghe postazioni, capitava spesso di incontrare un signore. All’inizio, ci scambiavamo solo cordiali saluti, brevi cenni. Un giorno, rompendo la consueta formalità, mi domandò del mio lavoro e io a sua volta scoprii che era un biologo, esperto di stambecchi. Incuriosito mi chiese di mostrargli le mie fotografie. Osservò le immagini con interesse e mi chiese: «Mi vende qualche foto?» Colsi l’occasione al volo, sorrisi e risposi: «No. Gliele regalo se mi insegna tutto quello che sa sugli stambecchi».
Quella frase fu l’inizio di un nuovo capitolo. La fotografia, mostra quanto possa diventare un ponte tra mondi diversi e un mezzo per conoscere e proteggere ciò che ci circonda. Unendo immagini e parole per trasmettere l’importanza della conservazione della biodiversità e il valore dell’esperienza umana a contatto con il selvatico. Da quel momento, la montagna diventò scuola. Iniziai ad accompagnarlo in lunghe escursioni imparando da lui a conoscere questo straordinario animale. Osservando le sue abitudini, i suoi spostamenti, il modo in cui vive e sopravvive.
L’insegnamento ricevuto ha segnato l’inizio di un profondo legame con questa specie. Con il tempo, ho capito che entrare nella vita di uno stambecco significa anche riflettere sul rispetto, sulla lotta quotidiana per l’esistenza e sulla preziosità della vita stessa; non solo la mia, ma quella di tutte le creature che abitano questo pianeta.
Attrezzatura
Rispetto per la natura
Canon EOS R1
Canon EOS R5
Canon RF 14-35mm F4 L IS USM
Canon RF 100mm F2.8 L MACRO IS USM
Canon RF 100-500mm F4.5-7.1 L IS USM
Canon RF 800mm F5,6 L IS USM
Canon Extender RF 1.4x
Canon Extender RF 2x
La natura è un palcoscenico ineguagliabile,
dove assistiamo a spettacoli unici,
di una bellezza stupefacente.
Immortalare incontri straordinari é il più raro dei privilegi.
Mi è bastato uno sguardo,
un incontro, per dissolvere secoli di pregiudizi.
Nel tuo sguardo ho trovato verità,
non paura,
e una dignità che nessuna favola ha mai saputo raccontare e valorizzare.
Non sei il cattivo delle leggende,
ma l’anima fiera di un essere che vive seguendo leggi antiche, quelle della natura.
Viva ciò che rappresenti: la forza primordiale.
La saggezza del silenzio.
La capacità di resistere a falsità, incomprensioni e colpi di fucile,
trovando chi è disposto a guardarti per ciò che realmente sei:
il custode dell’equilibrio naturale, il signore del selvaggio.




Ascoltare il silenzio del vento.
Osservare gli abitanti senza disturbarli.
Riconoscere il valore di ogni forma di vita.
È questo il patto che ho stretto con la montagna.
Non chiederle nulla se non la possibilità di esserci.
Ogni creatura che incontro,
ogni traccia che vedo,
ogni sguardo che incrocio è un dono immenso e unico.
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AlCaPhoto
Alessia Carrara
Fotografa naturalista